Nel 1587 Ferdinando I venne proclamato “Granduca di Toscana” e tra i suoi obiettivi c’era la realizzazione di un importante porto nel Mediterraneo. Già Cosimo I, nel 1548, aprì le porte della città (se così si poteva chiamare) alla comunità ebrea, garantendone la protezione dall’Inquisizione. Questo però a Ferdinando non bastava, perciò, nel 1593, decise di ampliare l’integrazione a qualsiasi persona, senza distinzione di etnia o religione: “Il Serenissimo Gran Duca… a tutti Voi Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, dicendo ad ognuno di essi salute… per il suo desiderio di accrescere l’animo a forestieri di venire a frequentare lor traffichi, merchantie nella sua diletta Città di Pisa e Porto e scalo di Livorno con habitarvi, sperandone habbia a resultare utile a tutta Italia, nostri sudditi e massime a poveri…” con la promessa di totale immunità per debiti contratti e delitti commessi in precedenza (con alcune eccezioni, come ad esempio l’eresia e la “falsa moneta”), con l’aggiunta di facilitazioni per l’acquisto di un’abitazione “a manifattori di sartie, calefati, maestri d’ascia, legnaiuoli d’ogni sorte, muratori, marangoni, scalpellini, pescatori, marinai, febri e d’ogni altro mestiero manuale fuori che braccianti e vangatori”.
Le Leggi livornine favorirono l’afflusso di numerosi mercanti stranieri e la città subì perciò un enorme aumento demografico. Livorno diventò così una città cosmopolita, multiculturale e multireligiosa, dove ogni gruppo religioso ebbe la possibilità di costruire il proprio luogo di culto (ad esempio, la Chiesa della Santissima Annunziata per i greci, la Sinagoga per gli ebrei e molte altre). Ogni comunità ebbe il proprio spazio, e questo evitò gelosie, scontri o violenze che potessero turbare la quiete degli abitanti. In breve tempo Livorno divenne uno degli empori mercantili più efficienti del Mediterraneo.
Le leggi livornine, unite all’istituzione del porto franco e alla neutralità del porto, favorirono l’afflusso in città di numerosi mercanti stranieri: greci (sebbene un primo nucleo si fosse sviluppato già nel XVI secolo e fosse impiegato sulle navi dell’ordine di Santo Stefano), francesi, olandesi-alemanni, armeni, inglesi, ebrei ed altri. Sin dal Seicento queste comunità, dotate di propri consoli, conferirono a Livorno le caratteristiche di città cosmopolita, multirazziale e multireligiosa; un cosmopolitismo artificioso, frutto di una politica finalizzata a incentivare l’interesse economico del granducato e caratterizzato da diverse limitazioni, ma che nel contesto europeo dell’epoca segnò comunque un’apertura straordinaria. Per circa tre secoli, le Nazioni resero Livorno uno degli empori mercantili più fiorenti del Mediterraneo e legarono il proprio nome non soltanto a istituzioni finanziarie e commerciali, palazzi e ville suburbane, ma anche alla vita politica e sociale della città, nonché ad opere di pubblica utilità e di beneficenza, come teatri, asili e scuole.
Per il territorio, la loro presenza determinò l’apertura di spazi cimiteriali e luoghi di culto nazionali. Sin dall’inizio del XVII secolo diverse comunità cattoliche di rito latino ebbero un punto di riferimento nella chiesa della Madonna, ubicata sulla via omonima. In adiacenza i greci di rito bizantino eressero la chiesa della Santissima Annunziata, mentre un secolo più tardi, anche gli armeni ebbero il permesso di costruire il proprio luogo di culto lungo la via della Madonna. Grazie ai privilegi delle Livornine, già nel Seicento gli ebrei poterono disporre di un cimitero e di una sinagoga; la comunità non fu confinata in un ghetto, ma si insediò essenzialmente alle spalle del duomo, dove sorsero alcuni tra gli edifici più alti della città.
I cristiani acattolici, invece, dovettero scontrarsi con le severe disposizioni dell’inquisizione, in quanto l’unico culto cristiano riconosciuto lecito era quello cattolico. Per questo, per molto tempo, non poterono realizzare i propri cimiteri; il primo cimitero acattolico-protestante fu quello degli inglesi, che per molti anni non poté essere recintato o caratterizzato da sepolcri monumentali.
Analogamente, anche la costruzione di chiese ortodosse e protestanti fu a lungo contrastata dal clero cattolico. Tuttavia, nella seconda metà del Settecento, grazie alle pressioni delle autorità civili e diplomatiche, fu autorizzata la costruzione della prima chiesa acattolica di tutta la Toscana, la chiesa greco-ortodossa della Santissima Trinità, la quale però non poteva avere un campanile e non doveva essere riconoscibile dalla via pubblica. Di lì a poco anche i protestanti poterono realizzare le prime umili cappelle.
L’ultimo significativo capitolo delle Nazioni si ebbe intorno alla metà dell’Ottocento, quando gli acattolici-protestanti inglesi, scozzesi e della Congregazione olandese alemanna (che all’epoca riuniva soprattutto svizzeri e tedeschi) poterono finalmente edificare vere e proprie chiese, di foggia e dimensioni adeguate all’importanza conseguita dalle rispettive comunità.
Gli anni successivi all’unificazione sancirono il declino delle nazioni. L’abolizione del porto franco, attuata nel 1868, e la crisi economica che si ripercosse sulla città verso la fine dell’Ottocento, causarono la partenza di molti mercanti e la perdita di visibilità della maggior parte di quei beni legati alla loro memoria.