AMEDEO MODIGLIANI

La casa natale a Livorno
Ragazza in camicetta a pois
Gli autori della "beffa" di Modigliani

Amedeo Clemente Modigliani (Livorno, 12 luglio 1884 – Parigi, 24 gennaio 1920), è stato un pittore e scultore italiano, celebre per i suoi sensuali nudi femminili e per i ritratti caratterizzati da volti stilizzati, colli affusolati e sguardo spesso assente.

Quando venne alla luce, la famiglia stava attraversando un grave dissesto economico poiché l’impresa del padre, costituita da alcune società agricole e minerarie in Sardegna, era in bancarotta.

Fin dall’adolescenza fu afflitto da problemi di salute: dapprima una febbre tifoide, contratta all’età di 14 anni, quindi l’esordio della tubercolosi due anni dopo, una forma così grave da costringere il giovane Amedeo ad abbandonare gli studi e a effettuare alcuni soggiorni a Capri, dai quali trasse un discreto giovamento. Costretto quindi spesso in casa, Modigliani sin da piccolo mostrò una grande passione per il disegno, riempiendo pagine e pagine di schizzi e ritratti tra lo stupore dei parenti, che comunque non gli poterono concedere la possibilità di iscriversi a qualche corso adatto al suo livello; durante un violento attacco della malattia, riuscì a strappare alla madre la promessa di poter andare a lavorare nello studio di Guglielmo Micheli, uno dei migliori allievi del grande Giovanni Fattori e uno dei pittori più in vista di Livorno, da cui apprenderà le prime nozioni pittoriche, e dove conoscerà, nel 1898, lo stesso Fattori. Modigliani sarà così influenzato dal movimento dei macchiaioli, in particolare da Fattori stesso e da Silvestro Lega. 

Nel 1902 Amedeo Modigliani s’iscrisse alla “Scuola libera di Nudo” di Firenze e un anno dopo si spostò a Venezia, dove frequentò la stessa scuola presso l’Istituto per le Belle Arti. Nel 1906 Modigliani emigrò in Francia, precisamente a Parigi, che all’epoca era il punto focale dell’avanguardia. Sistematosi al Bateau-Lavoir, una comune per artisti squattrinati di Montmartre, fu ben presto occupato dalla pittura SOKI, inizialmente influenzato dal lavoro di Henri de Toulouse-Lautrec, finché Paul Cézanne cambiò le sue idee.

In un caffè Modigliani incontrò Elvira, una bellissima giovane donna: era una cortigiana professionista soprannominata ‘La Quique’. Fu un colpo di fulmine per entrambi. I dipinti Elvira appoggiata al tavolo e Nudo in piedi (Elvira), spesso riprodotto su cartoline, sono due dei suoi capolavori.

Il 3 dicembre 1917 si tenne alla Galérie Berthe Weill la prima mostra personale di Modigliani. Il capo della polizia di Parigi rimase scandalizzato per l’immoralità dei nudi di Modigliani in vetrina, e lo costrinse a chiudere la mostra a poche ore dalla sua apertura. La sua pittura apparve diversa da tutto ciò che si faceva allora, ovvero un “ritorno all’ordine”. Qualcosa di comune egli aveva con i due pittori russi Pascin e Soutine, anche per l’accensione tonale che, insieme alla ricerca di una materia sempre più vellutata, caratterizza l’opera degli ultimi anni del pittore.

Quello stesso anno Modigliani ricevette una lettera da un’ex amante, Simone Thiroux, una ragazza franco-canadese, che lo informò di essere di ritorno in Canada e di avere dato alla luce un figlio, avuto da lui. Modigliani non riconobbe mai il bambino come suo, mentre trovò il grande, vero amore, in Jeanne Hébuterne, una pittrice in erba, con la quale si trasferì in Provenza dopo che lei era rimasta incinta: il 29 novembre 1918 la ragazza diede alla luce una bambina, che venne anch’essa battezzata Jeanne.

Mentre era a Nizza Léopold Zborowski si prodigò per aiutare lui e altri artisti, cercando di vendere i loro lavori ai ricchi turisti ma Modigliani riuscì a vendere solo qualche quadro e per pochi franchi ciascuno. Nonostante ciò fu proprio questo il periodo in cui egli produsse la gran parte dei dipinti, che sarebbero diventati i suoi più popolari e di maggior valore. I finanziamenti che Modigliani riceveva svanivano rapidamente in droghe e alcool.

Nel maggio del 1919 fece ritorno a Parigi dove, assieme a Jeanne e alla loro figlia, affittò un appartamento in rue de la Grande Chaumière. Mentre vivevano lì sia Jeanne che Modigliani dipinsero ritratti l’uno dell’altra e di tutti e due assieme. Anche se Modigliani continuò a dipingere in quel periodo il suo stile di vita era giunto a richiedere il conto, e la salute si stava deteriorando rapidamente.

Una mattina di gennaio del 1920 l’inquilino del piano sottostante trovò Modigliani delirante nel letto, attorniato da numerose scatolette di sardine aperte e bottiglie vuote, mentre si aggrappava a Jeanne, che era quasi al nono mese della seconda gravidanza. Venne convocato un medico, ma c’era ormai poco da fare, poiché Modigliani era in preda a una meningite tubercolare.

Ricoverato all’Hôpital de la Charité, in preda al delirio e circondato dagli amici più stretti e dalla straziata Jeanne, Modì spirò all’alba del 24 gennaio 1920.

Poco considerato in vita, oggi Modigliani è universalmente considerato come uno dei più grandi artisti del XX secolo e le sue opere sono esposte nei più importanti musei del mondo. Le sue sculture raramente cambiano di mano, e i pochi dipinti che vengono venduti dai proprietari possono raggiungere anche più di quindici milioni di euro.

In occasione di una mostra promossa nel 1984 dal Museo progressivo di arte contemporanea di Livorno (oggi scomparso, ma all’epoca ospitato nei locali di Villa Maria) per il centenario della nascita e dedicata alle sue sculture, su pressione dei fratelli Vera e Dario Durbè si decise di verificare se la diceria, secondo la quale l’artista avrebbe gettato nel Fosso Reale delle sue sculture, fosse vera. In effetti nel 1909 Modigliani, tornato temporaneamente a Livorno, aveva scolpito sculture che aveva mostrato poi presso il Caffè Bardi ad amici artisti, i quali lo avrebbero deriso consigliandogli di gettarle nel fosso. Cosa che l’artista, in uno scatto d’ira, avrebbe fatto di getto.

Dragando il canale nei pressi della zona di piazza Cavour, dove si trovava il Caffè Bardi, vennero effettivamente ritrovate tre teste, scolpite in uno stile che a prima vista richiamava quello del Modigliani di quegli anni. I critici d’arte si divisero: da una parte Federico Zeri che negò subito l’attribuzione e dall’altra Dario e Vera Durbè, conservatrice dei musei civici livornesi, e ancora Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi attribuirono le teste con certezza a Modigliani. Un mese dopo il ritrovamento, tre studenti universitari livornesi si presentano alla redazione del settimanale Panorama dichiarando la burla e presentando come prova della falsificazione una fotografia che li ritrae nell’atto di scolpire una delle teste, ricevendo, come compenso per lo scoop, dieci milioni di lire.

La cosiddetta “testa numero 2” era opera loro, realizzata per burla con banali attrezzi prima di essere gettata nottetempo nel Fosso Reale e come prova mostrarono una fotografia che li ritraeva con la scultura. Di fronte alle perplessità suscitate tre di loro furono invitati a creare in diretta un nuovo falso, durante uno Speciale TG1, al fine di dimostrare con i fatti la loro capacità di realizzarlo in “così poco tempo” (come riteneva invece impossibile Vera Durbè, la quale fino alla morte si riterrà convinta, almeno apparentemente, dell’originalità delle tre teste).

Successivamente, anche a seguito dell’invito rivolto in televisione da Federico Zeri, anche l’autore delle altre due “teste” uscì dall’anonimato; si trattava di Angelo Froglia, un pittore livornese lavoratore portuale per necessità. Ad avvalorare la posizione di Froglia vi era un suo filmato durante il quale scolpiva le due teste.