FORNAIO DELLA BISCOTTERIA

Produceva il “biscotto ed il pan fine”. I marinai del tempo nel loro gergo usavano dire “andar per mare senza biscotto” equivaleva a mettersi in una impresa senza adeguata preparazione e provvedimenti del caso. Infatti una consistente scorta di questo alimento per sua natura di lunga conservazione era indispensabile per la buona riuscita di ogni spedizione navale sia mercantile che militare.

Nel 1558, Il Granduca Cosimo I° dispose affinché si acquistasse tanto grano per farvi 200 “cantara” (un cantaro = 50,92 kg.) di biscotto in Livorno per uso delle galere della sua flotta e nel 1590 erano già sicuramente operativi i forni, dove si cuoceva il biscotto ed i magazzini dove in seguito veniva conservato.

Questo complesso era accorpato al Bagno dei forzati, ad esempio, le sezioni dell’ospedale dei turchi e dei cristiani erano sopra a due ampi locali, dove si trovavano allineati ben 18 forni per la biscotteria e “l’uffizi dell’abbondanza di Livorno”.

Il nome biscotto derivava dalla procedura di lavorazione che appunto prevedeva due (bis) cotture successive. Una prima infornata ed una seconda ricottura per disidratarlo totalmente.

Condizione questa, essenziale per una lunghissima conservazione. Il rapporto ottimale prevedeva che da 100 libbre di farina uscissero 75 libbre di biscotto.

Doveva essere ben “condizionato”, di forma quadra per facilitarne l’immagazzinamento ed il trasporto. Nei forni della biscotteria dal 1654 per ordine sovrano venne cotto anche il pane bianco in forme dette “picce”,venduto nelle due “canove” della Città ad un prezzo calmierato.

I fornai si coprivano con un grembiule leggero ed un cappello, usavano una tavola dove porvi le picce, una cesta per i biscotti con il coltello a lama larga e piatta a forma di paletta e lo staccio per la farina.