COSIMO II DE’ MEDICI

Cosimo II ritratto da Cristofano Allori
Cosimo II con la moglie ed il figlio ritratti da Justus Suttermans

Cosimo II de’ Medici (Firenze, 12 maggio 1590 – Firenze, 28 febbraio 1621), figlio di Ferdinando I de’ Medici e di Cristina di Lorena, fu il quarto Granduca di Toscana dal 1609 al 1621, anno della sua morte.

Fin da giovane età ricevette un’educazione molto ampia, volta a fornirgli conoscenze nel campo della cultura classica, della cosmografia, del disegno, della matematica e della meccanica, ed a prepararlo alla pratica delle lingue viventi, quali il tedesco ed il castigliano. Potè inoltre usufruire ripetutamente dell’insegnamento di Galileo Galilei, invitato da Cristina di Lorena ad occuparsi, durante i suoi soggiorni estivi in Toscana tra il 1605 ed il 1608. Cosimo rimase sempre molto legato al maestro, al punto di fare di tutto per proteggerlo dalla giustizia romana durante il primo tentativo dell’inquisizione di giudicarlo per eseresia nel 1616. Lo stesso Galileo dedicò al Granduca il “Siderus Nuncius” e battezzò “Medicea Sidera” (Astri Medicei)  i quattro salelliti di Giove da lui scoperti. Nelle arti militari fu invece allievo di Silvio Piccolomini, gran connestabile dell’Ordine di S. Stefano e generale delle artiglierie granducali.

Nel 1608, nel quadro della politica di avvicinamento all’Impero perseguita da Ferdinando I in seguito agli scarsi risultati di quella con la Francia di Enrico IV, a cui aveva dato in moglie la nipote Maria,  fu celebrato il suo matrimonio con Maria Maddalena d’Austria, figlia dell’arciduca Carlo duca di Stiria e sorella dell’arciduca Ferdinando, futuro imperatore.

Nel 1609, all’età di diciannove anni, successe al padre alla guida del Granducato ma la fragilità della sua salute, minata probabilmente da una precoce forma di tubercolosi ed ulteriormente deteriorata a partire dal 1614 a seguito di una malattia di stomaco, gli impedirono di esercitare il potere con la stessa impronta del padre ed il suo governo fu caratterizzato invece da un peso sempre più crescente di un Consiglio privato e da una larga partecipazione famigliare: accanto alla madre, che sui suoi inizi esercitò una sorta di tutela ufficiosa e conservò sempre grande autorità, acquistò gradualmente influenza la moglie, cui Cosimo fu legato da affetto profondo, ed occuparono posizioni di rilievo il fratello Francesco fino alla sua morte (1614) e per alcuni anni (1611-1616) lo zio Giovanni, figlio naturale di Cosimo I.

La fragilità della saluta del Granduca non impedirono però alla coppia reale di generare una numerosa prole composta da ben 8 figli, tra cui il primogenito e futuro Granduca Ferdinando II.

In politica estera, sostenuto dall’esperienza dei ministri del padre, perseguì con costanza la politica di attento equilibrio tra le massime potenze europee che era già stata propria di Ferdinando I, mirando come lui al mantenimento dell’indipendenza del Granducato ed all’allentamento delle tensioni tra Francia e Spagna ed alla conservazione della pace come condizione indispensabile della propria autonomia politica. Di particolare rilievo fu il suo operato durante la crisi apertasi nei rapporti con la Francia in seguito al conflitto tra Luigi XIII e la madre Maria de’ Medici ed all’assassinio di Concino Concini: alla richiesta francese, lesiva della sovranità toscana, di confisica dei beni che i Concini possedevano a Firenze, egli non poté non opporre un rifiuto; ed alla cattura di vascelli toscani in Provenza dovette rispondere con quella di vascelli provenzali a Livorno. Mantenne però il suo aiuto a Maria de’ Medici nei termini di un interessamento privato alla sua sorte e forse di una sovvenzione segreta; e, ben consapevole del rischio che il perdurare di una tensione con la Francia avrebbe costituito per la parziale autonomia politica dei granducato dalla Spagna, accettò di buon grado la mediazione di Enrico di Lorena e la rapida ricomposizione del contrasto (1618), consolidata un anno più tardi dal riavvicinamento di Luigi XIII alla madre.

Cosimo II si dedicò assiduamente anche allo sviluppo della flotta toscana, guidata dall’ammiraglio Jacopo Inghirami, che in quegli anni si distinse in alcune azioni contro la flotta ottomana, e allo sviluppo del porto di Livorno, per il quale se da una parte riconfermò e ampliò le leggi del padre a favore dello sviluppo della nuova città, dall’altra ne ridimensionò i progetti troppo grandiosi per il bacino d’utenza, essenzialmente limitato al territorio granducale. Acquistò i feudi di Scansano e Castellottieri in Maremma, oltre a quello di Terrarossa in Lunigiana, ma dovette abbandonare i disegni di conquista del Principato di Piombino, dell’Isola d’Elba, di Pianosa e Montecristo dopo la morte di Jacopo VII Appiani nel 1603. Malgrado gli intenti, l’investitura dei feudi passò a Isabella Appiani nel 1611 ed al marito di questa, Giorgio Mendoza, conte di Binasco, il quale volle garantire la successione alla sua famiglia una volta defunta la moglie. Cosimo II, deluso dal comportamento dell’imperatore, che sembrava favorire l’investitura ad altri piuttosto che a lui, rinunciò al possesso dell’Elba anche quando il sovrano del Sacro Romano Impero gliela offrì in forma di pegno per un prestito di 500.000 ducati.

Pur colpita, in particolare negli ultimi anni del suo regno da alcune annate di carestia e da una grave epidemia di tifo (1620) la Toscana sembra aver goduto sotto il suo principato di una situazione economica abbastanza fiorente, contrassegnata, a quanto risulta dal censimento fatto nel 1622, da una fase di crescita demografica, particolarmente intensa nelle città.

Cosimo II morì di tubercolosi, poco più che trentenne, il 28 febbraio 1621. Gli successe il figlio Ferdinando, di appena 11 anni.