Leopoldo II d’Asburgo-Lorena (Vienna, 5 maggio 1747 – Vienna, 1º marzo 1792) è stato Granduca di Toscana con il nome di Pietro Leopoldo I di Toscana dal 1765 al 1790 e imperatore del Sacro Romano Impero e re d’Ungheria e Boemia dal 1790 al 1792, figlio dell’imperatore Francesco I e di sua moglie Maria Teresa d’Austria.
Come tutti i figli della casata, ebbe un’educazione accurata, affidata soprattutto a Franz von Thurn-Valsassina, alto ufficiale carinziano che lo descriveva come orgoglioso e chiuso, incline alla malinconia e all’isolamento, poco curante delle ‘maniere’ e dell’etichetta care alla madre. Padroneggiava latino e francese, ma appariva soprattutto dotato per le scienze, la geografia e la matematica. Con il fratello Anton von Thurn fu tra i pochi intimi del giovane: la sua scomparsa agli inizi del 1766 lasciò un vuoto profondo in Pietro Leopoldo, suggerito dalle missive ai due fratelli. Inizialmente i genitori pensarono di avviarlo alla carriera ecclesiastica ma le prospettive di successione alla corona del granducato di Toscana dovuto alla morte del fratello maggiore Carlo nel 1761, fecero abbandonare questa idea ai genitori, che ripiegarono su suo fratello Massimiliano Francesco (futuro arcivescovo di Colonia). Questo cambiamento delle condizioni condusse poi ad un matrimonio, celebrato il 5 agosto 1764 con l’Infanta Maria Luisa di Borbone (1745-1792), figlia di Carlo III di Spagna e di Maria Amalia di Sassonia.
Alla morte di suo padre Francesco I (18 agosto 1765), Leopoldo gli succedette ufficialmente alla guida del Granducato con il nome di Pietro Leopoldo, decidento di stabilirsi insieme alla moglie a Firenze. Non amando affatto la nobiltà Toscana ed il clero, con il quale ebbe spesso contrasti, dall’avvio del suo governo sovrintese personalmente il Consiglio di Stato affiancato da un manipolo di funzionari di fiducia, Pompeo Neri, Giulio Rucellai, Giovan Battista Clemente Nelli, Tavanti, Gianni, Stefano Bertolini, che riflettono il mutamento generazionale e di cultura ai vertici dell’amministrazione, con l’obiettivo di mettere in atto una serie di riforme ad alto raggio e fare del piccolo granducato un paese moderno e all’avanguardia.
Nel 1766 dichiarò estinte le vecchie ripartizioni di origine feudale, come lo Stato Nuovo di Siena, e le sostituì con quattro nuove entità amministrative dette province (di Firenze, di Pisa, di Siena superiore di Siena inferiore). Lo scorporo della Maremma senese, ora direttamente amministrata dal centro, e la soppressione degli apparati annonari contribuì a cambiare il ruolo della dominante, facendo di Firenze la capitale politico-amministrativa di uno Stato unitario (1782). Negli anni Settanta, la riforma dei tribunali centrali e periferici impose la professionalizzazione dei giudici, tenuti alla laurea e all’esercizio delle funzioni sotto controllo regio. Spariva, così, il privilegio dei cittadini fiorentini nelle magistrature, sostituite da podesterie e vicariati criminali dotati di giurisdizione uniforme, parte di un impegno di modernizzazione che tendeva ad assicurare i diritti soggettivi dei sudditi. Sul piano finanziario il debito pubblico ereditato dall’età medicea (88 milioni di lire) rappresentò un’altra sfida per Pietro Leopoldo, aggravata dalla richiesta del fratello, quale erede universale del padre, di una forte somma (1.200.000 fiorini), risolta con una transazione nel 1766. Con notevole precocità rispetto ad altre realtà italiane, nel 1770 fu avviata la soppressione delle arti di origine medioevale, sostituite da una Camera di commercio. Razionalizzazione del carico fiscale e controllo tributario portarono, inoltre, alla soppressione dell’Appalto delle imposte (26 agosto 1768), mentre a partire dal 1774 i carichi sulla proprietà fondiaria vennero unificati nella nuova tassa di redenzione, volta a estinguere gradualmente il debito, che risultò pressoché esaurito alla partenza del sovrano nel 1790. Sotto la guida di Neri fu avviata dal 1771 la progressiva ristrutturazione dei governi provinciali, Volterra e Arezzo nel 1774, Livorno, Firenze nel 1782. Essa concedeva larghe autonomie ai consigli comunali e ai loro organi, Gonfaloniere e Priori, sorteggiati dagli elenchi dei possidenti. Abolite le antiche magistrature come pure il Consiglio dei duecento e il Senato dei quarantotto a Firenze, il controllo dei nuovi enti spettò a una Camera delle comunità alle dipendenze regie.
Ma la riforma più importante introdotta da Pietro Leopoldo fu l’abolizione degli ultimi retaggi giuridici medievali, abolendo il reato di lesa maestà, la confisca dei beni, la tortura e, cosa più importante, la pena di morte grazie al varo del nuovo codice penale del 1786 (che prenderà il nome di Riforma criminale toscana o Leopoldina). La Toscana sarà quindi il primo Stato nel mondo ad abolire la pena di morte, adottando i principi degli Illuministi fra i quali Cesare Beccaria che con la sua opera Dei delitti e delle pene ne era il portavoce. Nel 1787 affidò al giurista e uditore pisano Giuseppe Vernaccini l’incarico di preparare il nuovo codice civile del Granducato di Toscana. L’opera , progettata in 10 volumi, non fu portata a termine a causa della morte prematura del giurista e della partenza di Pietro Leopoldo per Vienna. Nel 1790 morì infatti il fratello Giuseppe II, Imperatore del Sacro Romano Impero, ed in mancanza di eredi diretti dovette malvolentieri succedergli, lasciando il trono granducale al figlio Ferdinando III di Toscana. Poco prima di morire Giuseppe Il elaborò un progetto territoriale in cui era coinvolto anche il Granducato. Nonostante gli accordi sottoscritti precedentemente con Gian Gastone, ultimo dei Medici, la Toscana avrebbe perduto la propria autonomia, per diventare una provincia austriaca di cui il principe sarebbe stato soltanto governatore. Convinto dei vantaggi che la Toscana avrebbe avuto come Stato indipendente, il nuovo Imperatore non si attenne al piano del fratello e mantenne la secondogenitura toscana, lasciando istruzioni categoriche per salvaguardare le riforme operate, soprattutto quelle di carattere ecclesiastico ed economico, già divenute un esempio per le tendenze riformatrici europee e così acclamate dalla cultura illuministica.
Subito dopo la partenza di Pietro Leopoldo per Vienna però la situazione nel granducato si era complicata a causa delle riforme illuministiche di Pietro Leopoldo. A Livorno, a queste proteste si unirono le reazioni contro i provvedimenti liberistici relativi al commercio dei grani, considerati la causa principale del carovita mentre a Firenze le proteste furono represse a fatica. Ciò fornì alla reggenza l’occasione per trasgredire alle disposizioni di Pietro Leopoldo e revocare la libertà di commercio frumentario, vietando l’esportazione di grani, biade e oli. Furono inoltre autorizzate varie pratiche di culto e di disciplina ecclesiastica già abolite. La reazione dell’Imperatore fu immediata e decisa: in un dispaccio del 17 giugno condannò l’operato della reggenza che, piegandosi a ribellioni fomentate dagli avversari delle riforme, aveva rovesciato “in pochi giorni tutti i sistemi di governo da lui in tanti anni di tempo e fatiche introdotti e con tanto buon successo stabiliti in vantaggio del pubblico” e riportato la Toscana “in mano agli ecclesiastici ed al fanatismo”. Vietò qualsiasi concessione; e mentre disponeva pesanti sanzioni per i colpevoli dei tumulti e ordinava il ripristino della pena di morte per i sobillatori, scriveva di ritenere del tutto inopportuno l’invio in Toscana di un rappresentante della propria famiglia, prima che fosse ristabilita “la disciplina, il buon ordine e tutto come prima”. Poi, con un dispaccio dell’8 ott. 1790, ordinò il ripristino della libertà del commercio frumentario; ma Solo il 27 dicembre il Consiglio di reggenza pubblicò la legge relativa, aggiungendovi dei provvedimenti che, in realtà, ne limitavano la portata.
Risolta la questione Toscana, la permanenza sul trono Imperiale di Pietro Leopoldo fu però breve e dopo essersi destreggiato con abilità tra la Russia di Caterina II e la Prussia di Federico Guglielmo II, morì improvvisamente a Vienna nel marzo del 1792 dopo una brevissima malattia che i medici non seppero diagnosticare.