L’attività prevedeva l’allevamento ed il commercio delle ostriche. Fin dalla loro escavazione i fossi che circondavano Livorno, furono tenuti in buono stato da un costante servizio di dragaggio e pulitura, si costringevano le acque ad un continuo ricambio dovuto al flusso e riflusso delle maree e delle correnti, e insieme la provvidenziale esclusione delle acque reflue della città che non vi venivano allora riversate, ne consentivano un’ottima ossigenazione.
Questo permise di allevarvi le ostriche con una certa sicurezza.
Fin dall’inizio questa attività e la struttura annessa chiamata “la casina delle ostriche” furono proprietà del regio erario e dipendevano direttamente dal G.D. ma tramite la dogana di Livorno, la gestione veniva affittata al miglior offerente con contratti novennali e oltre l’allevamento comprendeva anche la privativa della loro pesca in tutti i fossi di Livorno esterni ed interni e la gestione ad uso trattoria della “casina”.
Ben presto questa divenne luogo di svago e di incontro per molti. La prima “conserva delle ostriche” fu fatta nel Fosso presso la Porta a Pisa (orientativamente p.za Guerrazzi) nei primi del ‘600 e nel 1646 la “casina” venne demolita per far posto ad una più grande e comoda. Dieci anni dopo quel tratto del Fosso venne lastricato per facilitarne la pulizia e nel 1678 fu realizzata la nuova conserva delle ostriche e casina nei pressi di Porta dei Cappuccini (tra I.T. Nautico e p.za Manin) fu abbandonata così la vecchia postazione.
Anche qui il fondo fu lastricato ed impiantato il vivaio la cui notevole produzione arrivò anche a 200000 pezzi l’anno, molte venivano spedite a Firenze alla corte o nelle dispense granducali, tutto il resto era venduto e quindi mangiato dai livornesi. Il “novellame” veniva acquistato negli stagni Còrsi presso Cateraggio ed in Sardegna. Nel 1619 il G.D. Cosimo II° ne donò 20000 ai Cardinali riuniti in conclave a Roma e ad un suo cognato l’Arciduca Leopoldo, spedite negli appositi “bariglioncini”.
L’ostricaro era abbigliato come un qualsiasi pescatore munito di “corba” con un telo di juta e con manici (e magari qualche guscio di ostrica incollato all’esterno “ad effetto”) ed il tipico coltellaccio da ostricaio. Immancabili i limoni