Cosimo I de’ Medici (Firenze, 12 giugno 1519 – Firenze, 21 aprile 1574) è stato il secondo ed ultimo Duca della Repubblica Fiorentina, dal 1537 al 1569, e, in seguito alla sua elevazione a Granduca di Toscana, il primo Granduca di Toscana, dal 1569 alla morte, avvenuta nel 1574.
Figlio del condottiero Giovanni de’ Medici, detto delle Bande Nere, e di Maria Salviati, apparteneva per via paterna al ramo cadetto dei Medici detto dei Popolani, discendente da Lorenzo de’ Medici detto il Vecchio, fratello di Cosimo il Vecchio, primo Signore de facto di Firenze, mentre era discendente per via materna dal ramo principale stesso, in quanto la madre era figlia di Lucrezia de’ Medici, a sua volta figlia di Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze. In questo modo Cosimo I portò al potere il ramo cadetto dei Popolani e diede vita alla linea granducale.
Fin dalla prima infanzia Cosimo condivise con la madre una vita segnata dalle difficoltà economiche. A Roma fu presentato a Clemente VII, da cui Maria ottenne il pagamento dei debiti del marito, ma nessuna assicurazione circa il futuro del figlio.
Educato in modo piuttosto superficiale dal pratese Pierfrancesco Ricci, che in futuro diverrà uno dei suoi uomini di fiducia, trascore la giovinezza sullo sfondo delle guerre d’Italia. Il giorno stesso in cui ricevette la notizia della morte del marito, Maria Salviati fece partire Cosimo per Venezia insieme al Ricci ed ai cugini Lorenzo e Giuliano, decisione precipitosa accolta con acuto turbamento dal bambino e dettata probabilmente dai timori che suscitavano nella madre la minacciosa avanzata dei lanzichenecchi, sotto i cui colpi era caduto Giovanni. A Venezia Cosimo venne accolto con la simpatia e gli onori dovuti al figlio del defunto capitano generale della Repubblica: festeggiato dalle più eminenti famiglie patrizie, ricevuto dal doge, solennemente introdotto presso il Consiglio dei dieci. Nel maggio del 1527 i giovani Medici furono raggiunti dalle madri, e poco più tardi dalla nonna Lucrezia, indotte a fuggire a loro volta da Firenze dalla restaurazione della Repubblica, ma ben presto il peggioramento dei rapporti tra Venezia e Clemente VII costrinse la famiglia ad una nuova fuga.
La restaurazione del dominio mediceo a Firenze nel 1530 segnò il ritorno a tempi più sereni. Incluso, seppur in posizione remota, tra i successori di Alessandro dal diploma imperiale che nominava quest’ultimo duca di Firenze, alternò da allora soggiorni al Trebbio con quelli alla corte ducale.
Allo scopo di consolidare la propia posizione, Cosimo cercò di sposare Margherita d’Austria, figlia dell’imperatore Carlo V e vedova del duca Alessandro, ma non ottenne che un secco rifiuto. Abbandonato questo progetto, sposò nel 1539 Eleonora di Toledo, figlia di Don Pedro Alvarez de Toledo, marchese di Villafranca e viceré spagnolo di Napoli. Assieme a Cosimo, Eleonora ebbe undici figli, assicurando così la successione.
L’assassinio di Alessandro ad opera di Lorenzo de’ Medici (detto Lorenzino), avvenuto il 6 gennaio 1537, aprì a Cosimo orizzonti del tutto imprevisti. Poiché il duca non lasciava discendenza maschile legittima e Lorenzino ed il fratello Giuliano decadevano ovviamente dal loro diritto, la sua designazione alla successione scaturiva dallo stesso diploma imperiale del 1531. Essa però non fu automatica né incontrastata. Da un lato il gruppo dei consiglieri del duca defunto, guidati dal cardinale Innocenzo Cibo, mirava all’elezione di Giulio, figlio illegittimo di Alessandro di soli tre anni. Dall’altro, gli ottimati fiorentini filomedicei, dopo breve sconcerto iniziale, si schierarono per Cosimo. Dopo che l’8 gennaio una prima seduta del Senato dei Quarantotto, supremo organo del governo cittadino, si era conclusa con un nienie di fatto, i capi ottimati, tramite Maria Salviati, mandavano a chiamare Cosimo, che si trovava al Trebbio. Questi nel frattempo, avuta notizia dell’assassinio di Alessandro, si era spontaneamente messo in viaggio per Firenze. Giunto in città, si recava immediatamente dal Cibo, e, pur senza porre esplicitamente la propria candidatura, gli offriva con reverenza “quegli aiuti che i bisogni della patria richiedessero”. La presenza del giovane Medici, sostenuto dagli ottimati, da “ragunate d’affezionati e partigiani” e da spontanee manifestazioni della milizia, creava una situazione di fatto da cui era impossibile prescindere. Così il 9 gennio 1537, il Senato lo designò alla successione. La proposta fu avanzata dallo stesso Cibo, (con il quale Cosimo si era impegnato a mantenersi fedele all’imperatore, a tutelare la vedova ed il figlio di Alessandro ed a perseguirne l’uccisore) e fu sostenuta da Francesco Vettori.
Il 10 gennaio, il Senato deliberava che egli non avesse il titolo di duca, ma solo quello di “capo e primario della città”; che, diversamente da Alessandro, dovesse scegliere il proprio luogotenente tra gli stessi membri del Senato; che il suo appannaggio non superasse i 12.000 scudi annui. Era un fragile tentativo di limitarne per via legale i poteri. Ma Cosimo aveva interamente ereditato lo spirito battagliero del padre e della nonna paterna Caterina Sforza ed appena investito del potere e dopo aver ottenuto un decreto che escludeva il ramo di Lorenzino da qualsiasi diritto di successione, esautorò i consiglieri ed assunse l’assoluta autorità. Restaurò il potere dei Medici in modo così saldo che da quel momento governarono Firenze e gran parte della Toscana attuale fino alla fine della dinastia. Il governo autoritario di Cosimo indusse alcuni importanti cittadini all’esilio volontario. Essi radunarono le loro forze e, col supporto della Francia e degli stati vicini di Firenze, nel tentativo di rovesciare militarmente il governo fiorentino, alla fine del luglio 1537 marciarono su Firenze sotto la guida di Piero Strozzi.
Quando Cosimo seppe che si stavano avvicinando, inviò le sue migliori truppe, comandate da Alessandro Vitelli, a bloccare i nemici. Lo scontro avvenne nei pressi della rocca di Montemurlo il 1º agosto 1537 e, dopo aver sconfitto l’armata degli esuli, il Vitelli assaltò il castello, dove lo Strozzi ed i suoi compari si erano rifugiati. L’assedio durò solamente poche ore e terminò con la caduta degli assediati, dando a Cosimo la sua prima vittoria militare. I capi della rivolta furono dapprima imprigionati e poi decapitati nel palazzo del Bargello.
Ormai interamente padrone, a partire dal 1543 diede avvio ad una serie di riforme istituzionali ed amministrative, che, pur senza realizzare un disegno organico e complessivo di trasformazione, consolidavano le tendenze all’accentramento di cui si erano visti dopo Montemurlo gli inizi: Intraprese la realizzazione di nuovi presidi, costruendo fortezze a Siena, Arezzo, Sansepolcro e Pistoia; rafforzò le difese di origine medioevale a Pisa, Volterra e Castrocaro; fece erigere una nuova cinta muraria a Fivizzano; fece fortificare San Piero a Sieve, Empoli, Cortona e Montecarlo, ai confini della Repubblica di Lucca; fece costruire ex novo la città-fortezza di Portoferraio (Cosmopoli) nell’isola d’Elba e piazze d’armi, quali Sasso di Simone nel Montefeltro e Terra del Sole (Eliopoli), tra la vecchia fortezza di Castrocaro, destinata ad essere abbandonata, e Forlì, quindi ai confini con lo Stato della Chiesa. Altra priorità di Cosimo fu la ricerca di una posizione di maggior indipendenza rispetto alle forze europee. Egli abbandonò la tradizionale posizione di Firenze, di norma alleata con i francesi, per operare dalla parte dell’imperatore Carlo V. I ripetuti aiuti finanziari che Cosimo garantì all’impero gli valsero il ritiro delle guarnigioni imperiali da Firenze e Pisa ed una sempre maggior indipendenza politica. Nel 1548 riuscì a far uccidere a Venezia Lorenzino de’ Medici e con la sua morte tramontava ogni possibile pretesa dinastica contro di lui sul comando della Toscana.
Di particolare interesse furono i provvedimenti emanati tra il 1546 ed il 1551 a favore di Pisa e del guo contado mentre contemporaneamente venivano avviati i lavori per migliorare le fortificazioni di Livorno. Pisa, residenza invernale della corte e sede dell’università, conobbe così sotto Cosimo una ripresa economica e demografica e costitui un secondo polo economico del ducato.
Sebbene Cosimo esercitasse il potere in modo dispotico, sotto la sua amministrazione la Toscana fu uno stato al passo coi tempi. Esautorò da ogni carica, anche formale, la maggior parte delle importanti famiglie fiorentine, non fidandosi dei loro componenti. Scelse piuttosto funzionari di umili origini. Una volta ottenuto il titolo di Granduca di Toscana mantenne la divisione giuridica ed amministrativa tra il Ducato di Firenze ed il Ducato di Siena. Rinnovò l’amministrazione della giustizia, facendo emanare un nuovo codice criminale.
La morte della moglie e di due figli avvenuta nel 1562 a causa della malaria aveva però iniziato ad indebolire il Granduca e sebbene la sua reazione fosse stata di composto dolore, in alcune lettere inviare al figlio Francesco traspare il reale dolore per la perdita. Il 1º maggio 1564 cedette il governo e le rendite dello Stato al figlio Francesco, riservandosi il titolo ducale, il diritto di nomina alle cariche più importanti, i beni allodiali e i capitali commerciali, nonché il diritto di beneplacito nelle questioni politiche di maggior rilievo.
Il precoce ritiro di Cosimo fu lungi pero dall’essere totale. Egli continuò a dirigere la politica estera del ducato, a sovrintendere all’attività marinara della flotta di Stato e dell’Ordine di S. Stefano. Seguì infine personalmente le lunghe trattative che, dopo i veti opposti negli anni precedenti da Spagna ed Impero alla concessione del titolo regio o arciducale da parte di Pio IV, condussero infine Pio V ad insignire nel 1569 Cosimo I del titolo di granduca di Toscana ed incoronarlo solennemente a Roma il 5 marzo 1570.
Dopo aver frequentato Eleonora degli Albizi, dalla quale ebbe due figli naturali, nel 1570 Cosimo prese in seconde nozze Camilla Martelli come moglie morganatica, che gli diede una figlia, poi legittimata e integrata nella successione. Il peggioramento del suo burrascoso carattere ed i continui scontri con Francesco, che aveva una visione dello Stato completamente diversa dal padre, resero i suoi ultimi anni turbolenti. Morì il 21 aprile 1574, a cinquantacinque anni, già gravemente menomato da un ictus che gli aveva limitato la mobilità e tolto la parola.