Cosimo III de’ Medici (Firenze, 14 agosto 1642 – Firenze, 31 ottobre 1723), figlio di Ferdinando II de’ Medici e di Vittoria Della Rovere, fu il penultimo Granduca di Toscana appartenente alla dinastia dei Medici. Regnò per 53 anni, dal 1670 al 1723, anno della sua morte.
Nei suoi primi anni di vita egli fu affidato essenzialmente alle cure della madre, donna religiosissima, cui egli restò sempre profondamente legato, e ricevette un’educazione improntata alle pratiche devote ed allo studio di testi religiosi, sotto la guida del teologo senese Volunnio Bandinelli, nonostante il parere contrario del padre che avrebbe desiderato per lui un’educazione laica e scientifica. In seguito gli furono destinati dal padre precettori più illustri, quali Carlo Dati, allievo di Galileo, matematico ed erudito, e Lorenzo Magalotti, segretario dell’Accademia del Cimento ma l’impronta materna aveva ormai creato in lui un sentimento di chiusa religiosità.
Il 18 aprile 1661, all’età di 19 anni, sposò Margherita Luisa, figlia primogenita di Gastone duca d’Orléans, fratello di Luigi XIII. La scelta della sposa, favorita dal Cardinale Mazzarino e da Luigi XIV, rientrava nella prudente politica di equilibrio tra Francia e Spagna, tenacemente perseguita dal granduca Ferdinando II ma non fu una scelta felice: Margherita Luisa, abituata al lusso ed ai costumi più liberi della corte di Francia e innamorata del principe Carlo di Lorena (futuro Carlo V), dimostrò subito intolleranza per il marito e non si ambientò in alcun modo alla corte di Toscana. Dopo la nascita del primogenito Ferdinando (9 agosto 1663) ed il licenziamento del suo seguito per volontà del granduca, essa iniziò una lunga aperta ribellione, interrotta soltanto da alcune effimere riconciliazioni con il marito, a seguito delle quali videro la luce i figli Anna Maria Luisa (11 agosto 1667) e Gian Gastone (24 maggio 1671).
Il 26 maggio 1670 Ferdinando II morì e Cosimo III successe al trono granducale. La sua gestione del potere vide il rafforzamento del predominio della nobiltà nell’apparato dello Stato, che si era già delineato nel corso del secolo. Decadde rapidamente l’importanza che i segretari di Stato, di origine spesso non aristocratica, avevano avuto sotto Ferdinando II, mentre sempre più importanza venne data a consiglieri ecclesiastici. La morte del padre fece scoppiare poi un’acerrima lotta fra la nuova granduchessa, Margherita Luisa, e la granduchessa madre, Vittoria Della Rovere, per la partecipazione al potere. Cosimo, devotissimo alla madre, risolse la disputa concedendole numerose prerogative ed escludendo Margherita Luisa, peggiorando così ulteriormente il loro difficile rapporto.
Nei primi anni Cosimo III sembrò governare con lungimiranza: attuò una politica di contenimento delle spese per evitare la bancarotta, permise ai suoi sudditi di presentare una petizione per l’arbitrato nelle controversie e tentò di riformare la pubblica amministrazione del Granducato. Per Livorno, in contrasto con la più rigida politica doganale del padre, ribadi ed ampliò le franchigie concesse ai mercanti dai primi granduchi, e procedette ad una riforma doganale concordata con i rappresentanti del ceto mercantile livornese, abolendo ogni gabella, salvo un lieve diritto di stallaggio, sulle merci introdotte nel porto e nella città e istituendo quindi il porto franco (1676). Nel 1692, nel contesto della guerra della lega d’Augusta, fu confermato il carattere internazionale delle franchigie, che dovevano valere indistintamente per tutte le potenze europee, e, sulla base di un trattato sottoscritto da queste, fu proclamata per la prima volta la neutralità di Livorno.
Il 26 dicembre 1674, fallito ogni tentativo di conciliazione, Cosimo III accettò il desiderio della consorte di trasferirsi definitivamente presso il convento di Montmartre, a Parigi. La granduchessa lasciò la Toscana nel giugno 1675 dopo aver depredato la villa di Poggio a Caiano di ogni oggetto di valore, senza essere particolarmente rimpianta dai sudditi o dal marito.
Partita la moglie, la devozione del granduca assunse sempre più i contorni del bigottismo ed a farne le spese fu per prima la comunità ebraica della Toscana, particolarmente numerosa a Livorno: Cosimo III promulgò leggi che proibivano le unioni miste, gli atti sessuali fra ebrei e cristiani e impedivano a questi di lavorare presso famiglie ebraiche. A questa legge si aggiunsero, negli anni seguenti, numerose ordinanze antisemite, fra le quali le leggi del 16 giugno 1679 e del 12 dicembre 1680 che vietavano, rispettivamente, agli ebrei di visitare prostitute cristiane e ai cristiani quelle ebree. Tuttavia, non furono solo gli ebrei le vittime dello zelo del granduca: per suo ordine, infatti, furono rimossi dall’altare del duomo di Firenze le statue di Baccio Bandinelli raffiguranti Adamo ed Eva nudi, considerate pornografiche. Infine, per punire i reati di pubblica morale, il granduca istituì l’Ufficio del decoro pubblico, un tribunale speciale con il potere di irrogare a uomini e donne sanzioni che andavano dalla fustigazione, per i casi meno gravi, all’incarcerazione fino a quando i trasgressori non avessero accettato di pentirsi ed entrare in convento. Infine, rinnegando completamente la politica laica e tollerante dei suoi avi, rafforzò i poteri e le competenze dei tribunali religiosi e decise di invitare nel Granducato i gesuiti, i quali, in breve, monopolizzarono il sistema educativo. Vennero presi provvedimenti contro l’insegnamento della filosofia democritea ed epicurea all’Università di Pisa, arrivando a dichiarare illegale scienza galileiana. in modo quasi contraddittorio fu invece largo di favori e di mezzi a Francesco Redi, medico e naturalista, ed all’anatomista danese naturalizzato e convertito Nicola Steno.
Nel 1684 l’imperatore Leopoldo I chiese l’intervento del Granducato di Toscana nella guerra contro i turchi, ottenendo, dopo qualche tentennamento, una risposta positiva che si tradusse nell’ingresso del granducato nella Lega Santa e in ingenti invii di munizioni e rifornimenti mentren Nel 1705 la morte di Leopoldo I portò sul trono imperiale il giovane Giuseppe I, il quale, dopo l’esito favorevole della battaglia di Torino, che mutò le sorti della guerra sul fronte italiano in favore dell’Austria, decise di mandare un inviato a Firenze per raccogliere i diritti feudali, che quasi causarono la bancarotta del granducato.
In questo quadro, segnato dall’avvio di ampie trasformazioni della carta politica europea, si aprì la questione della successione toscana. Né i matrimoni di Ferdinando e di Gian Gastone, né quello tardivo del fratello Francesco Maria, che Cosimo aveva indotto ad abbandonare il cardinalato ed a sposare Eleonora Gonzaga (1709), procurarono infatti un erede alla dinastia. La Toscana rischiava così di diventare oggetto di scambio e di contesa tra le grandi potenze; Il 30 ottobre 1713 calò nella tomba il principe ereditario Ferdinando, e, il 26 novembre, Cosimo III depositò un disegno di legge al Senato dei Quarantotto, legislatore nominale della Toscana, per garantire alla figlia il diritto di successione in caso di morte prematura di Gian Gastone. L’approvazione della richiesta, all’unanimità, fece infuriare Carlo VI, succeduto nel frattempo a Giuseppe I, morto di vaiolo, il quale replicò che, essendo il Granducato feudo imperiale, solo l’imperatore aveva la prerogativa di scegliere l’erede in caso di estinzione completa della dinastia, mentre Elisabetta Farnese, seconda moglie di Filippo V di Spagna ed erede del Ducato di Parma, reclamò il diritto di successione ai Medici, essendo bis-nipote di Margherita de’ Medici. Nel giugno 1717 Cosimo III, con il sostegno imperiale, nominò la Casa d’Este come erede dei Medici, stabilendo che ad Anna Maria sarebbe succeduto il duca Rinaldo d’Este, alleato e parente dell’imperatore, dando eventualmente vita a un’unione dinastica fra il Granducato di Toscana e il Ducato di Modena. Tuttavia, nel 1718, si formò una coalizione internazionale antispagnola fra Gran Bretagna, Francia e Olanda, alla quale aderì in seguito anche l’imperatore, che, attraverso il trattato di Londra del 2 agosto 1718 (detto anche Quadruplice Alleanza), per giungere a un compromesso con la Spagna, elaborò un “piano di pacificazione toccante le successioni di Toscana e di Parma”, attraverso il quale si stabilì che a Gian Gastone sarebbe succeduto don Carlo di Borbone, figlio primogenito di Elisabetta Farnese e di Filippo V di Spagna, ignorando i diritti di Anna Maria Luisa. A nulla valsero gli uffici presso le corti europee dell’inviato del granduca, il marchese Neri Corsini, il quale aveva tentato invano di guadagnare la Gran Bretagna alla causa dell’indipendenza toscana, sostenendo che la cessione del Granducato alla Spagna o all’Austria avrebbe pregiudicato l’equilibro italiano ed europeo, nonché i considerevoli interessi inglesi sul porto di Livorno. Nel giugno 1717 morì Giovanni Guglielmo del Palatinato e Anna Maria Luisa tornò a Firenze portando con sé molti preziosi che, sia pure in parte, alleviarono lo stato disastroso delle finanze granducali. Cosimo III, poi, nominò Violante Beatrice di Baviera, vedova del principe ereditario Ferdinando, governatrice di Siena, per evitare che l’inimicizia reciproca con sua figlia, l’elettrice del Palatinato, sfociasse in una lotta aperta, ma non ci riuscì. Infine, nel settembre 1721, morì anche Margherita Luisa, commemorata dal granduca con una solenne messa.
Il 22 settembre 1723 il granduca venne colto da una crisi di tremore. Il 25 ottobre 1723, sei giorni prima della morte, Cosimo III emanò un proclama sostenendo che la Toscana sarebbe rimasta indipendente, Anna Maria Luisa avrebbe ottenuto la successione dopo la sua morte e quella del fratello e che avrebbe avuto la facoltà di adottare un successore legittimo. Tale proclama venne completamente ignorato dalle potenze europee e, il 31 ottobre, Cosimo III morì, all’età di 81 anni. Fu sepolto nella basilica di San Lorenzo a Firenze. Gli successe il figlio secondogenito Gian Gastone.