L’attività consisteva nelle operazioni di riempimento e svuotamento (infossare e cavare) del grano nelle apposite “buche” e la misurazione del grano stesso.
Per la produzione del pane e del biscotto, ma anche per poter conservare grandi quantità di grano importato in città ed in tempi diversi, che i vari mercanti della piazza di Livorno rivendevano speculandovi sopra nei momenti di carestia, furono costruite (fine ‘500 – inizio ’700) numerose buche da grano distribuite in 12 “piaggioni” di diversa consistenza numerica per un totale di 522 conserve.
Ogni buca da grano realizzata in muratura di laterizio a forma di una grande giara aveva una capacità variabile tra 240 e 630 sacchi di grano (1 sacco = 72 litri circa, quindi da 17520 a 45990 litri).
Le buche si costruivano l’una vicino l’altra e circondate da mura in modo che, depositando terra nello spazio tra loro si creava un alto terrapieno da cui affioravano solo le bocche. Queste buche venivano interamente rivestite all’interno da una treccia di paglia di grano o segale del diametro di 15 cm. a sezione ovale posta dal centro del fondo su lungo la parete a spirale fino in cima all’imboccatura.
Ogni anno venivano svuotate dal grano e areate e il grano e la treccia posti al sole e all’aria per un certo tempo per poi ridepositarli nuovamente se non deteriorati. Le buche venivano tappate con coperchi e sigillate con l’argilla conservando il prodotto anche per 5 – 6 anni e restando ancora commestibile.
I custodi dei piaggioni verificavano la correttezza delle operazioni e la qualità e quantità del grano inserito ed estratto. Per il loro ruolo dovevano saper scrivere e far di conto.
Accessori d’uso la trecciona di paglia, la svotazza di legno e il mastello col grano, nessun abbigliamento particolare, ma ovviamente da popolano.