Giovanni Fattori (Livorno, 6 settembre 1825 – Firenze, 30 agosto 1908) è stato un pittore e incisore italiano, tra i maggiori pittori italiani dell’Ottocento e tra i principali esponenti del movimento dei Macchiaioli.
Abbandonati gli studi elementari, iniziò a lavorare nella banca d’affari del fratello Rinaldo, più vecchio di lui di quindici anni, con il quale aveva un rapporto speciale. Giovanni, tuttavia, rivelò ben presto un’innata vocazione per il disegno: dopo aver intuito le sue inclinazioni artistiche, pertanto, la seppur disagiata famiglia affidò il giovane alla scuola privata di Giuseppe Baldini, il migliore e «unico» artista della città. Ciò malgrado, egli non fu un bravo maestro per il Fattori, che in tarda età lo avrebbe ricordato come un uomo frivolo e vanaglorioso: dopo aver quindi preso consapevolezza dell’inconcludenza dei suoi studi, egli si trasferì a Firenze e si iscrisse all’Accademia di belle arti di Firenze, dove studiò sotto la guida di Giuseppe Bezzuoli.
Grazie all’intercessione di Giuseppe Giusti, Fattori arrivò a figurare nella ristretta cerchia cui il Bezzuoli si apprestava a dare lezioni private. Ciò non passò inosservato alla società fiorentina del tempo, soprattutto alla luce del prestigio professionale del Bezzuoli e della situazione sociale del Fattori. Fu a causa di questa frizione con il bel mondo fiorentino che Fattori assunse un carattere ribelle e sanguigno.
Fattori nel 1852 riuscì a concludere regolarmente (anche se non in maniera particolarmente brillante) il suo ciclo di studi, grazie alla docenza di Gazzarrini (elementi), Servolini (disegno dalle statue), De Fabris (prospettiva), di Paganucci (anatomia) e, infine, di Pollastrini (scuola libera del nudo).
Con l’ascesa al soglio pontificio di Pio IX la popolazione studentesca iniziò a essere animata da intensi fermenti nazionalisti e rivoluzionari. Ne fu coinvolto lo stesso Fattori che, infiammato dall’ardore giovanile, si arruolò come fattorino del partito d’Azione e girò per la Toscana distribuendo «fogli incendiari» simili a volantini. Arrivò persino a pensare di arruolarsi volontario, anche se questo proposito non fu mai messo in atto in quanto non riuscì a superare l’opposizione dei genitori: ciò malgrado la tumultuosa epopea risorgimentale non mancò di lasciare un’impronta profonda nella fantasia del Fattori.
Dopo il termine delle vicende risorgimentali e la maturazione di una coscienza politica, Fattori ritornò alla pittura e nel 1860 sposò Settimia Vannucci.
Nel 1861 eseguì il Ritratto della cugina Argia, mentre l’anno successivo fu la volta del Campo italiano alla battaglia di Magenta, dipinto per il quale Fattori poté beneficiare di una somma di denaro messagli a disposizione mediante concorso per recarsi personalmente sul campo di Magenta, in Lombardia. Questi giorni, tuttavia, furono funestati da una gravissima disgrazia familiare: Settima, infatti, aveva contratto la tubercolosi, malattia che la portò alla morte nel 1867. Nonostante il lutto, in questi anni Fattori riuscì a mettere definitivamente a punto le sue doti da pittore, licenziando una serie di opere destinate ad avere grande eco, che indagavano gli aspetti più concreti e quotidiani della realtà. A questa evoluzione stilistica contribuì anche Diego Martelli, nume tutelare della cosiddetta «scuola di Castiglioncello», cui Fattori si accostò nel luglio 1867: oltre a divenire un intimo amico del Martelli, in questa città Fattori realizzò moltissime opere nella campagna maremmana, come Assalto e Bovi al carro. Dopo un soggiorno a Roma del 1872 produsse invece opere dal sapore verista, autoctono, persino Viale animato (si pensi alle tre versioni della Posta al campo o alle due redazioni del Viale animato), con le quali si conquistò il favore dei contemporanei.
Dal 1862 Fattori iniziò a entrare nella considerazione di Francesco e Matilde Gioli e a frequentare la loro villa di Vallospoli, animata da una grande vivacità culturale che certamente gli giovò. Trasse qualche suggestione anche dal soggiorno a Parigi, ove soggiornò fra il maggio e il giugno del 1875, ospite di Federico Zandomeneghi. Fu in quegli anni che andò delineandosi la sua fama di «forte verista», sancita dai premi vinti nelle Esposizioni: nel 1870 a Parma; nel 1873 a Vienna e a Londra; nel 1875 a Santiago del Cile; nel 1876 a Philadelphia; nel 1880 a Melbourne; nel 1887 a Dresda; nel 1889 a Colonia. Uno dei suoi dipinti, nella fattispecie Quadrato di Villafranca, fu ammirato dal re Umberto I e acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
La celebrità di Fattori era ormai giunta al suo culmine, e fu con commozione che il segretario della Biennale di Venezia annunciò la presenza di «papà Fattori, vera anima di vero artista» alla quinta edizione dell’esposizione internazionale. Galvanizzato dalla notorietà raggiunta, Fattori lavorò alacremente e furono numerosissime le tele che egli inviò alle varie esposizioni che si susseguivano in Europa.
Il 4 giugno 1891 sposò Marianna Bigazzi, dopo una convivenza di otto mesi. La Bigazzi, tuttavia, morì il 1º maggio 1903; Fattori nel 1907 sposò una sua amica, Fanny Marinelli, che pure morì prematuramente il 3 maggio 1908 e che ritrasse nel Ritratto della terza moglie. Ormai anziano, il pittore non si sposò più e morì il 30 agosto 1908 all’età di 82 anni a Firenze.