In una notte di Settembre del 1652, alcuni vascelli da battaglia inglesi, si trovavano alla fonda davanti all’Isola di Montecristo. Nessuno avrebbe immaginato cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Alle prime luci dell’alba, dalle navi battenti bandiere bianco-crociate si accorsero di trovarsi di fronte lo schieramento nemico. I vascelli olandesi. Già posti a favore di sole nascente. Evidentemente avevano manovrato in tal senso notte tempo. Il cielo sereno ed il mare calmo, di lì a poco furono squassati improvvisamente da una pioggia di fuoco, mentre un gran fumo intenso da subito iniziò a coprire la vista ed il respiro. Ben presto si capì che gli olandesi avevano preso il sopravvento, fino a catturare dopo averla abbordata, la bella fregata inglese da 30 cannoni, “Phoenix”. Giorni dopo c’era il solito via vai al porto di Livorno, galee e galeoni da carico oppure armate di cannoni, entravano e uscivano, proprio come sempre. Storia di tutti i giorni alla quale ormai nessuno faceva più caso. Intanto la Phoenix era stata trainata in porto per le riparazioni dopo la battaglia, ed i superstiti inglesi vedendola tornare al primitivo splendore, grazie ai bravi maestri d’ascia livornesi schiumavano di rabbia, pensando alla ciurma olandese che l’avrebbe condotta. Si tramava…si tramava nascosti per poterla riconquistare e fuggire vele al vento. La fregata però fu pronta prima del tempo e prese il mare lasciando gli inglesi nella disperazione.
Ma il destino volle che la fregata, dopo aver catturato un piccolo mercantile, tornasse a Livorno dove vendere nave e mercanzie requisite. Tornò quindi la speranza nella parte avversa, infatti, il 30 Novembre, mentre gli olandesi festeggiavano il Santo Patrono (Sant’Andrea), non si accorsero durante le baldorie serali, tra cibarie, vino e musica, che due “gozzi” carichi di ufficiali e marinai inglesi si erano portati sottobordo e nella confusione della festa assaltarono la nave, con gran paura degli ospiti ed il fuggi fuggi dell’equipaggio, che trovò scampo gettandosi in mare. Pare anche l’Ammiraglio Tromp. La Phoenix era così riconquistata e velocemente guadagnò il mare aperto veleggiando verso “Mezzogiorno” nell’intento di ricongiungersi alla squadra dell’Ammiraglio Appleton.
Le proteste e le recriminazioni verso il GD. Ferdinando II da parte dei Consoli inglese e fiammingo furono vibranti, ma il sovrano rimase sordo alle loro recriminazioni. Anzi, intimò loro il rispetto della neutralità del porto livornese, e che tutte le altre vicende politiche e conflittuali qui non avrebbero avuto nessuna valenza. Concedendo dieci giorni agli inglesi per gli approvvigionamenti, ed allo scadere, l’ordine di lasciare Livorno. Bè…non andò così. Improvvisamente la flotta olandese apparve, minacciosa, e con poche manovre chiuse l’accesso al porto controllando chiunque entrava od usciva. La parola d’ordine era: “Riprendere la Phoenix conquistata in combattimento”. Ci fu un gran dispendio di ordini e contrordini, di atti e di disdette, il Governatore di Livorno non stava vivendo la sua migliore stagione. Poi, corse voce che la flotta inglese veleggiava verso la città per liberare le navi in ostaggio. Infatti, la mattina del 10 marzo del 1653, gli olandesi tolsero l’ormeggio guadagnando il mare aperto.
Dopo veloci preparativi e rifornimenti, il giorno 14 gli inglesi issarono le vele e lasciarono Livorno nell’intento di ricongiungersi al grosso della flotta, ma usciti dal porto si accorsero che i loro nemici, guidati dall’Amm. Van Galen avevano giocato loro un brutto scherzo. I fiamminghi erano tornati e decisi a dare battaglia. Agli inglesi di Appleton non rimaneva che virare verso Sud cercando scampo nella fuga, ma ormai le navi olandesi erano loro addosso. Ancora una volta il cielo si ricoprì di fiamme e fumo.
Il passa parola, e la notizia volò nell’aria, gente che giungeva a cavallo, con i carri, si occupavano finestre, balconi e tetti, perfino gli alberi e le scogliere si gremivano di gente.
Tutti poterono assistere ad un grande tremendo spettacolo. Gli olandesi incalzarono il nemico fin dalle prime battute senza concedergli alcuna possibilità di manovra evasiva, ne di avvicinamento per disperati tentativi di abbordaggio.
Finché l’ammiraglia olandese non centrò cannoneggiando, la Santa Barbara della fregata “Bonaventura”…e tutto fu deciso. Le cronache parlano di almeno cinque vascelli da guerra affondati nella parte inglese, e solo uno tra gli olandesi. Verso il tramonto le navi rimaste rientrarono in porto, molto malmesse, e con gran carico di feriti e cadaveri, le stesse cronache riportano anche che i caduti della giornata furono almeno 600.
Il vociare sguaiato, le scommesse, le battute sarcastiche, urlate da terra dai livornesi e dai visitatori improvvisati durante la giornata, andò pian piano scemando, e l’angoscia, lo sgomento, il rispetto, furono il respiro ansioso che pervase tutta la città. I tantissimi feriti vennero curati presso l’ospedale, e perfino nelle private abitazioni. Il vincitore, colui, che aveva salutato la bandiera vittoriosa sconfiggendo i legni nemici, si vide strappare una gamba colpita da una palla di cannone. Morì alcuni giorni dopo a causa dell’infezione, ospitato dal Console olandese in Livorno. Nei ricordi del popolo si parlò per molti anni della “Battaglia del Fanale”, e lo si fece sempre con struggente compassione, e l’orgoglio di essersi prodigati nel tentativo di alleviare grandi pene. Alcuni di quei cannoni, trasformati in “bitte” da ormeggio, si potevano vedere fino a poco tempo fa sul prato attiguo la chiesa di San Ferdinando, in p.za Anita Garibaldi nel quartiere la Venezia Nuova.