Testo tratto dal libro “Tra mura salmastre di mattorni rossi”, di Claudio De Simoni
Nel 1967 Mario Lopes Pegna pubblicò un volumetto in cui narrò di un condottiero bizantino Narsetemfervente cristiano e devoto di Santa Maria, che giungendo in Toscana con le sue legioni, edificò a Firenze una chiesa dedicata alla Madonna.
Mentre altri, tra cui un sio gregario, tale Liburnus, nome abbastanza comune al tempo, e di origine illirica (istriana) pare anch’egli edificasse una chiesa, pure quesat dedicata alla Madonna, nel nostro territorio, fondando intorno ad essa un villaggio sulla costa, che dalui prese nome “Liburnia – Liburno – Liborna”.
Stando alle indicazioni del Pegna, correva l’anno 561 d.C.
A questa tesi non si dette molto credito e fu presto accantonata, anche perché, pochi anni dopo furono ritrovati significativi resti di diverse presenza, Infatti, presso la Fortezza Vecchia, emersero manufatti, anche se non molti, di un insediamento stanziale presente fin dal VII secolo a.C poi ritenuto abbandonato intorno al III sec. d.C.
L’insediamento sulla punta del porto è la più significativa scoperta di Livorno, ad effettuarla l’archeologo Stefano Bruni. Perciò, ed io condivido totalmente, se il villaggio fu molto più antico del 561, con tutta probabilità lo fu anche il nome. Chissà, forse potrebbe essere rimasto nella memoria degli uomini e tramandato nel tempo fino alla realizzazione del castello in epoca medievale (X sec. d.C.).
Una nota di colore: Livorno e “Labrone” o popolo labronico, fu coniato nel IX sec. quando qualcuno, leggendo una lettera inviata da Cicerone (106/43 a.C) al fratello Quinto, dove parlava di “Labrone”, una località a nord di Roma, luogo d’imbarco per la Gallie, ma senza specificare dove si trovasse. Il signor “qualcuno” ne dedusse che si trattava di questo approdo. Poi le leggende si sa, fanno sempre il loro corso.
Ma anche un altro scrittore più recente, Silvio Pieri, in uno studio sui toponimi toscani, si ingengò nell’indicare, forse con troppa leggerezza, teorie un po’ azzardate. In breve, facendo risalire e collegando il nome di Livorno a quello di una famiglia gentilizia romana che dette il proprio nome al luogo in questione. Purtroppo la ricercatrice Carla Mercato nel 1990, scrivendo di Livorno sul dizionario di toponomastica, prese per buona la tesi del Pieri senza i dovuti approfondimenti e verifiche, trascrivendola fedelmente senza aggiungere valutazioni personali.
Mentre alla voce Livorno Ferraris (Piemonte) la ricerca fu portata avanti da Alda Rossebastiano che fece risalire la definizione più antica Livurnus al 999, accostando anche il nome ad un altro, “Libarna”, quale antica colonia romana vicino a Serravalle Scrivia, o Serravalle Libarna, suggerendo che questo toponimo possa richiamare ad una parola in gallico antico “Libe”, il cui significato si traduce in “blocco di pietra”.
Questa ipotesi sembra calzare a pennello per la nostra città in quanto Libe, nello specifico, si identifica anche in pietra da lavorazione. Perciò, dopo spiagge e arenili sulla costa a nord e altrettanti a quella sud, l’esplosione qui da noi di scogliere di “panchina” sono da sempre conosciute come luogo di estrazione e lavorazione. Si… è la teoria per me più convincente e condivisibile. La Rossebastiano identifica i toponimi delle due Livorno in lingua prelatina, diffica in Toscana, nell’Italia settentrionale ed in Francia. Chiaramente distante dall’accostarsi all’etrusco in quanto di area Celto-ligure. Alla parola “lib” spesso veniva aggiunta una “orno-orna-orne”, infatti se ne trovano molti esempi anche a nio vicini: Vorno, Calavorno, Pizzorna e tanti altri tra la Liguria ed il resto del Nord Italia.