La sua attività consisteva nel taglio e raccolta della legna da ardere
Il taglio e la raccolta ad uso commerciale della legna da ardere era regolamentato da leggi e disposizioni granducali e dagli statuti comunicativi (della comunità) che detenevano i diritti di sfruttamento dei boschi detti del “legnatico”.
Uno dei principali acquirenti, dalla metà del ‘500, fu la Repubblica di Genova, che avendo esaurito le sue scorte di legna per lo sconsiderato disboscamento del suo retroterra, si vide costretta a stipulare contratti con l’allora Ducato dei Medici per lo sfruttamento delle macchie della Maremma pisana e senese.
Il commercio era agevolato anche dal fatto che la legna tagliata e trasportata agli approdi lungo la costa a sud di Livorno, veniva facilmente caricata su navicelli e bastimenti e così via mare spedita a Genova.
I procuratori della repubblica organizzavano operazioni di taglio in osservanza ai limiti e divieti imposti dal Granduca che riservava comunque, per l’arsenale navale e le ferriere di stato, le essenze più pregiate, come il faggio, l’olmo ed il leccio.
In periodi particolari di taglio intenso vi furono anche 400 tagliatori all’opera contemporaneamente nei boschi di Castiglioncello. La legna veniva accatastata e misurata secondo due sistemi, quello fiorentino o delle “catastelle” che misuravano 6 braccia x 1,5 x 2 (3,5 metri cubi) ed alla genovese o “canastone” pari a 6 braccia x 2 e 1,3 x 2 ( 5,6 metri cubi).
Un’altra produzione era quella delle fascine o “fascetti alla genovese” specie per i forni da pane e delle “calocchie” ovvero pertiche per usi vari, di castagno o di ornello.